New York è morta: lunga vita a New York

Saluto al Sole. Times Square. Foto New York Times

L’ex presidente Donald Trump soleva dire «New York è una città fantasma» lo scorso autunno durante la campagna elettorale. «Sta morendo e se ne vanno tutti». Non era certo l’unico a guardare tutte quelle serrande abbassate, quegli uffici vuoti, e trarne delle conclusioni del genere. «È morta, completamente» scriveva provocatoriamente James Altucher in un pezzo online dal titolo «New York è finita ed ecco perché» molto discusso analizzato e ovviamente preso in giro tutta l’estate scorsa. «Gli uffici sono in telelavoro e non torneranno di sicuro … È una spirale di morte». L’idea che New York e le altre grandi città siano diventate obsolete è parecchio diffusa. L’argomento essenziale sarebbe che è inutile pagare quegli affitti pazzeschi, conti stellari al ristorante, le metropolitane sempre stipate, nell’epoca del nomadismo digitale. Ma non è un po’ esagerato? Certo la città è gravata da una decina di milioni di metri quadrati di uffici vuoti, ha perduto più di mezzo milione di posti di lavoro, ha visto l’esodo dei redditi più alti verso il suburbio, ha detto addio a tanti marchi commerciali, bar, ristoranti. Tutto quello spazio inutilizzato però non è necessariamente araldo di abbandono totale. Potrebbe anche significare una tabula rasa su cui costruire una città più equa e culturalmente diversificata. Proviamo ad articolare su cinque diversi scenari la possibile evoluzione di New York.

La Città Fantasma dell’utopia negativa

Basta ricordare la New York degli anni ’70, degli edifici sventrati dagli incendi, dei vagoni della metropolitana incrostati di graffiti, dei parchi infestati dagli spacciatori, una città in bilico sull’orlo del fallimento. Ma è questo che ci aspetta in futuro? Qualcuno lo pensa, specie negli ambienti conservatori. «Per New York è suonata la campana» sparava in prima a tutta pagina il titolo del New York Post, contro una nuova tassa statale decisa a Albany sul reddito e le attività per raccogliere 4,3 miliardi l’anno, soprannominata – sia dai critici che dai favorevoli – «scippa i ricchi». Il Wall Street Journal la definiva follia pura. Il timore è che le galline dalle uova d’oro possano abbandonare il pollaio e svolazzare fino a Miami o Greenwich, Connecticut, portandosi appresso i loro redditi imponibili. E effettivamente diverse compagnia tra cui Goldman Sachs o JetBlue, si dice stiano considerando un trasferimento delle sedi nella Florida delle poche tasse.

Investitori miliardari come Carl Icahn e Paul E. Singer, fondatore dello hedge fund Elliott Management, già si sono risistemati nello Stato del Sole, in un «rivoletto» in fuga che potrebbe anche trasformarsi in «alluvione col tempo» come ha dichiarato a Fox News il fondatore di Home Depot, Ken Langone. Potrebbe andare peggio se il telelavoro diventerà la norma. Partnership for New York City, consulenza per imprese, calcola che oltre la metà degli impiegati terziari di di Manhattan proseguiranno a operare in remoto anche dopo l’autunno. “Non è una supposizione azzardata» commenta Nicole Gelinas, del centro studi di orientamento neoliberale Manhattan Institute. «Se la situazione diventerà troppo infelice non c’è alcuna ragione per restare operativi nelle sedi di New York City». Se parecchi cittadini non si metteranno certo in lutto per la dipartita di qualche titolare di hedge fund che si abbuffa di piccione stufato al Grill, bisogna comunque calcolare che chi guadagna oltre un milione di dollari l’anno pesa per il 40% sul gettito fiscale della città da imposte personali, secondo Andrew Rein, presidente la Citizens Budget Commission, organismo di controllo indipendente. «C’è bisogno di newyorchesi ricchi per coprire grosse quote delle spese per i servizi cittadini» spiega Rein in una intervista.

Per compensare la perdita sarebbe indispensabile alzare le tasse o inventarne di nuove e questo «Potrebbe innescare una spirale mortale» giudica Nicholas A. Bloom, professore di economia alla Stanford University specializzato in questioni urbane. «Salgono le imposte e i ricchi scappano». Una immagine di città ridotta a un guscio svuotato che ricorda molto quella degli anni ’60 e ’70 quando le 500 compagnie della lista di Fortune, da Pepsi Cola, a Nabisco a General Electric lasciarono la città seguite presto a ruota da centinaia di migliaia di cittadini. L’amministrazione cercava disperatamente di far quadrare i conti, la spazzatura si ammucchiava per le strade fino a chiudere le finestre dei supermercati «si moltiplicavano mega-ratti immuni a qualunque boccone avvelenato mentre la criminalità era arrivata al punto che durante il blackout del 1977 i rapinatori si rapinavano tra di loro». New York City era diventata la realtà infernale immaginata a Hollywood per film come Il Giustiziere della Notte, o Taxi Driver, o I Guerrieri della notte. Ovviamente oggi non siamo affatto in una situazione così, ma anche con tassi di criminalità viaggianti verso minimi storici non si può negare che New York abbia visto un 97% di incremento delle sparatorie, del 44% degli omicidi, del 42% dei furti e rapine durante la pandemia, secondo i dati della polizia. «Quando una città è senza soldi ne soffrono le scuole pubbliche, i trasporti pubblici, le biblioteche, e i parchi diventano posti da evitare» commenta Eric Klinenberg, professore di sociologia alla New York University specializzato in diseguagliaze. «I ricchi possono anche arrangiarsi da soli. Sono i lavoratori e i più poveri a pagare un prezzo elevato».

Copenhagen sulle sponde dell’Hudson

Gli attici della Quinta Strada svuotati, pieni invece gli esercizi di pompe funebri a Queens. Aprono gallerie d’arte per un mercato di fascia superiore esclusiva in località suburbane turistiche come gli Hamptons, mentre chiudono i negozi di quartiere. Dipendenti dei ristoranti licenziati mentre gli speculatori finanziari continuano a farlo da un’altra parte. «Coronavirus ha colpito una città che già subiva gli strascichi di una ripresa a singhiozzo, incarcerazioni di massa e diseguaglianze che non hanno eguali da fine ‘800. La pandemia dovrebbe essere un segnale di discontinuità» continua Klinenberg. I progressisti della città intravedono una straordinaria occasione per rimettere all’ordine del giorno i propri temi. Già si sono sconfitti gli esponenti più importanti e conservatori del Partito Democratico all’Assemblea Statale e al Congresso, approvate leggi come la legalizzazione della marijuana, fermato le più grosse speculazioni edilizie come quella della nuova sede Amazon a Queens.

Secondo l’estrema sinistra locale siamo solo all’inizio. «Il Covid ha svolto un effetto chiarificatore per i newyorchesi» spiega Sochi Nnaemeka, coordinatrice del New York Working Families Party. «Il sistema sociosanitario si stava sfaldando, quasi due milioni di cittadini hanno perso il posto di lavoro nei primi mesi di pandemia, vediamo le file per i pasti gratuiti che fanno il giro di più isolati». Nella visione del partito ci sono assistenza universale per i minori, cancellazione degli affitti e mutui non pagati, oltre a una politica per la casa universale, e altro. «La città può diventare un vessillo di progressismo – prosegue Nnaemeka – siamo già considerati una capitale di tante cose, dalla finanza all’arte. Perché non esserlo anche della eguaglianza e dell’inclusione». La sezione locale dei Socialisti Democratici d’America propone un «riscatto popolare» a New York che renda pubblici gli ospedali privati, pubblica la proprietà di grandi compagnie che rischiano fallimento e licenziamenti di massa, moratoria delle incarcerazioni sino alla fine dell’emergenza sanitaria per arginare la diffusione del virus nelle prigioni. Una visione utopica in cui il verde dei quartieri poveri rivaleggia con quello dei ricchi, i newyorchesi disoccupati e i meno fortunati possono godere di assistenza gratuita garantita per sé e i bambini.

Per il momento i progressisti possono contare su ciò che già avviene. Come il Climate Mobilization Act cittadino, declinazione local di Green New Deal che mira a contenere le emissioni, o sul piano dell’amministrazione Cuomo per realizzare 1.400 alloggi economici a Midtown West (considerato il progetto anti-Hudson Yards). Una associazione senza scopo di lucro, Breaking Ground vuole convertire edifici inutilizzati a case per poveri e redditi bassi o ceto medio. «Ci potrebbero volere dieci anni – spiega la presidente Brenda Rosen – ma se solo si convertisse il 10% degli uffici inutilizzati a alloggi economici sarebbero migliaia e migliaia di case in più, oltre che luoghi di vitalità dove oggi non ce n’è affatto». E ovviamente chi dovrebbe finanziare tutto? I più ricchi. Vogliono sfuggire le tasse che crescono confluendo nella Corrente del Golfo? Non possiamo trattenerli. «New York City senza la popolazione più agiata non sarebbe poi questo irreparabile disastro – recita un editoriale del Columbia Daily Spectator, giornale degli studenti universitari – un po’ meno del consumismo indotto da chi a New York viene sempre per prendere e mai per dare».

È qui la festa

La città riprende a vivere e il popolo delle feste non aspetta altro che di tornare ai bei tempi di Studio 54 o Plato’s Retreat. «Gente che si accoppia per strada praticamente – prevede Michael Musto, veterano giornalista del Village Voice che torna in versione trimestrale – tutto alimentato da intelligenti operatori che requisiscono negozi chiusi per convertirli in discoteche o altri luoghi di divertimento … È ora di scollare gli occhi dal telefono». C’è già una forte ripresa dei locali di scambisti a New York. Snctm, locale solo per soci, riprende questo mese con balli mascherati erotici tematizzati sull’orgia di Eyes Wide Shut.

Killing Kittens, una catena di club a tessera londinese che organizza feste erotiche con dominatrici, tornerà attiva in città entro la primavera, la fondatrice Emma Sayle è convinta che la passione repressa insieme a una maggiore accettazione di rapporti non monogamici e della poliarmonia, possano essere alla base di un salto di qualità in comportamenti più aperti e tolleranti. «Per quanto ci riguarda la scelta è o vai oltre o lascia perdere». Pare stia cambiando anche l’atteggiamento nei confronti della prostituzione, col sindaco Bill de Blasio e altra politica orientata a decriminalizzare il lavoro sessuale, a smettere di prendersela spropositatamente con persone di colore o transgender, concentrandosi invece sui traffici di persone e altre forme di sfruttamento. Ispirandosi un po’ allo spirito di Las Vegas la città potrebbe anche dotarsi del primo casino, secondo una proposta dibattuta a Albany e diventata uno degli argomenti della campagna elettorale per il nuovo Sindaco.

New York aveva già allentato le redini per la partecipazione ai cocktail durante la pandemia, e il candidato sindaco Andrew Yang vorrebbe rendere la norma permanente, per una città più festaiola. Ci si può anche divertire con uno spinello da quando Albany ha legalizzato l’erba il mese scorso, e ogni newyorchese ha il diritto di possedere ottanta grammi di marijuana. Mettiamo tutto insieme per valutare quanto lontani si stia dalla qualità della vita repressa dei tempi dell’amministrazione Giuliani negli anni ’90, col proibizionismo a chiudere cabaret locali da ballo e notturni. Tutte norme abolite nel 2017 e nominando un responsabile delle attività della notte, Ariel Palitz, a gestire un comparto che vale 35 miliardi di dollari, e che durante la pandemia ha visto scomparire circa metà dei suoi 300.000 occupati. «Storicamente visto come un problema questo settore è non solo una risorsa, ma una risorsa essenziale» commenta Palitz. E immaginiamo tutte le occasioni che si presentano con tanti spazi inutilizzati. «Le proprietà mi chiamano per chiedere Hey Noah perché non affittiamo un po’ di piani o magari la terrazza in cima?» racconta Noah Tepperberg, del Tao Hospitality Group, gigante del settore ristorazione e locali notturni a cui fanno riferimento insegne come Tao, Marquee e altre. Non ha alcun dubbio che tutti vogliano tornare in fretta ai bei tempi e superare il trauma economico dello scorso anno. «In fondo ci sono i miliardari dei Bitcoin pronti a spendere profusamente» e non dimentichiamoci poi che «si è tanto risparmiato per mesi tra nuovi vestiti e parrucchiere».

Futurama

Mentre gli uffici di Manhattan si svuotavano durante la pandemia, quattro grosse imprese tecnologiche — Amazon, Apple, Facebook e Google — entravano in campo ad occupare spazi . La valle del silicone si è trasferita a est, e tutto il settore tecnologico potrebbe crescere molto di più. «La pandemia Covid ci ha proiettato verso un futuro digitale» John Paul Farmer, responsabile tematico per l’amministrazione de Blasio. La città ha in programma un rafforzamento dell’alta capacità 5G e solare. I trasporti si stanno modernizzando coi motorini elettrici condivisi e i monopattini, le app della Tesla, i nuovi autobus scolastici, le stazioni di ricarica. Città e Stato insieme al mondo immobiliare stanno facendo di New York un importantissimo polo delle biotecnologie. La c16 Biosciences, che sta lavorando per la produzione di olio di palma in laboratorio, è sostenuta dal fondo Breakthrough Energy Ventures di Bill Gates, e si insedierà su duemila metri quadrati allo Hudson Research Center sulla Cinquantaquattresima Ovest.

Il cosiddetto Triangolo Tecnologico di Brooklyn, che comprende la zona detta DUMBO (Down Under the Manhattan Bridge Overpass, il centro e le Brooklyn Navy Yard, pullula di startup in campi emergenti dall’intelligenza artificiale o della blockchain. Chiunque vada a Gracie Mansion a novembre dopo le elezioni badi che sia ben funzionante il sistema Wi-Fi.

Se il candidato Andrew Yang, è un imprenditore dot-com e viene considerato espressione di quegli interessi, che vanno dalla diffusione universale del Wi-Fi nelle case pubbliche e nei ricoveri per senzatetto, alla conversione dei siti contaminati a centrali solari, anche altri candidati propongono l’idea di una città connessa e verde. Eric Adams vorrebbe più imprese e incubatori abbassando le tasse e mettendo a disposizione spazi economici. Scott Stringer vede Rikers Island come polo energetico-ambientale. I newyorchesi si riappropriano della loro città e trovano ad aspettarli una metropoli scintillante del ventunesimo secolo grazie a strutture che la pandemia non ha certo fermato. Dal Terminal B dell’aeroporto La Guardia inaugurato la scorsa estate ricco di arte e verde , insieme a quelli analoghi previsti allo scalo John F. Kennedy. O la luminosa Moynihan Train Hall aperta in gennaio giusto davanti alla squallida Penn Station, nuova porta d’ingresso principale della città. Addirittura lo spoglio Port Authority Bus Terminal potrebbe vedere un radicale rinnovo. Sono spuntate in riva all’Hudson nuove stalagmiti di cristallo a Hudson Yards; o il futuribile complesso Little Island progettato da Heatherwick Studio e di prossima inaugurazione nell’ex quartiere del macello; l’ex deposito di autobus a Pier 57 riconvertito a funzioni miste con negozi uffici Google e spazio pubblico; o lo Javits Center che si allarga su oltre centomila metri quadrati. Città fantasma? Magari città dei robot.

New York, New York

Scenari piuttosto movimentati per il dopo pandemia di New York: ritorni all anormalità ma anche no. L’emergenza sanitaria non è certo terminata ma si avverte una ripresa dell’immobiliare residenziale. Zone di attività economica fuori Manhattan, come Fordham Road nel Bronx o Main Street nel quartiere di Flushing a Queens, rivivono anche con Midtown ancora tranquilla. Bar ristoranti e stadi sportivi della città si riempiono anche molto prima dell’ordinanza definitiva con cui a luglio il Sindaco de Blasio dichiarerà la ripresa ufficiale. Quanto all’esodo di massa verso il suburbio probabilmente è stato molto sopravvalutato. Se ne sono andate da New York durante la pandemia 3,57 milioni di persone ma nel medesimo periodo hanno fatto il percorso opposto in 3,5 milioni, secondo Unacast, ente di ricerca sulla base delle celle telefoniche. Non sarebbe certo la prima volta che in una crisi si fanno previsioni completamente sballate. Basta rammentare quando si decretò la «fine del paradosso» dopo l’attacco dell’11 Settembre.

Ricordiamo come agli anni ’70 del Giustiziere della Notte seguirono gli ’80 della bella vita. Problemi economici e di sicurezza dell’epoca del sindaco David Dinkins avevano ispirato esagerazioni su New York come quella copertina di Time del 1990 dove si stigmatizzava «La Grande Mela Marcia». E invece di una città vuota e desolata New York è poi stata la patria dell’era frenetica dot-com per tutto il decennio. Quanto alla questione del telelavoro, i catastrofisti sostengono da tanto tempo che con le innovazioni tecnologiche si svuoteranno le grandi città, ma continuano a ripeterlo sin dai tempi degli apparecchi coi numeri a rotella. Magari è ora che i newyorchesi se ne facciano una ragione, lasciando a quelli che sono scappati in Florida il terrore per l’oceano che sta salendo di livello.

da: The New York Times, 15 maggio 2021 – Titolo originale: NewYork is dead.Long live New York – Traduzione di Fabrizio Bottini

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