Smart Patacca

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Foto F. Bottini

Le caricature fanno ridere, si sa, ma usarle adeguatamente richiede un minimo di cautela: quando si ride di solito non si pensa, e con una bella risata passa tutto, si digerisce tutto. Gli ultrareazionari del Tea Party americano, o certi nostri idioti sbucati da chissà dove e che si fregiano di qualche marchio partitico o associativo, spesso ne sparano di incredibili, da stendere un bue. Peccato che poi, appunto, il messaggio viaggi capillare in punta di luogo comune, fino a colpire il bersaglio, ovvero orientare le opinioni. Così dalle dichiarazioni secondo cui è la Bibbia a ordinare all’uomo di scavare il petrolio in Texas, oppure che un ministro guarda un po’ assomiglia a una scimmia, mentre ci pieghiamo in due dal ridere si arriva a conclusioni molto diverse, certo, e però conseguenti. Tipo, è impensabile rinunciare a un certo stile di vita basato sull’automobile, e quindi dobbiamo accettare anche qualche trivellazione petrolifera, magari contenendo il più possibile i danni; oppure, ovvio che un ministro e un quadrumane sono cose diverse, è solo una battuta, ma insomma, certi posti di responsabilità dovrebbero essere occupati da chi rappresenta il senso comune, da chi si identifica nel cittadino comune, da chi magari ha certi difetti, ma non altri …

Insomma qualunque appello a cose come tutto il mondo è paese e altri luoghi comuni solleticano il nostro innato conservatorismo, i nostri automatismi, le nostre prospettive forzatamente un po’ anguste, a volte addirittura meschine, e ci fanno pensare molto meno. Ci sono stili di vita irrinunciabili, che in senso lato (molto lato) corrispondono a un vero e proprio metabolismo, ed è arduo immaginarci cambiarli, figuriamoci poi quando si tratta di una cosa non solo individuale, ma collettiva, complessa, dove si intrecciano comportamenti, interessi, rapporti, addirittura la storia nostra e altrui. Per gli americani del Tea Party, o dei tanti centri studi della destra Repubblicana, la faccenda del petrolio di diritto divino si lega quasi direttamente dalle pagine della Bibbia alla vita di ogni giorno, quando abili imbonitori ne traducono il senso. Delineando scenari terroristici in cui man mano crollano le certezze del cittadino medio: niente petrolio, niente benzina per l’auto, niente spesa al centro commerciale, quindi niente spesa del tutto viste le distanze, niente bambini accompagnati a scuola, ergo bambini potenzialmente analfabeti, e anche niente benzina nei serbatoi delle ambulanze, delle pompe antincendio, delle auto della polizia quando un malintenzionato vi minaccia sul cancelletto di casa. Un vero film dell’orrore, a meno di mettere una crocetta sulla casella giusta, a tutela in buona sostanza della vita umana, contro le tenebre infernali.

In modo più raffinato, destinato alle classi dirigenti di fascia media, dagli amministratori locali ai politici di seconda fila, la medesima insinuante cultura conservatrice liberista, declina il tema di centralità dell’uomo a modo proprio, ma mica tanto diverso. Niente terrorismo, ma un bel modello di sviluppo addirittura “sostenibile”, farcito di tabelle, grafici, studi e controstudi, che tutti ma proprio tutti vanno a conferma del business as usual, naturalmente condito di tutte le possibili premesse amiche dell’ambiente, ma insomma mica possiamo suicidarci per coerenza ideologica! Sono in buona sostanza queste, le tesi che sottendono la legittimazione collettiva dello sprawl, per cui è stato disegnato via via negli anni un percorso identico a quello della speculare gentrification.

Il primo diventa la terra di bengodi della famiglia, la casetta immersa nel verde, che ha come vicini desiderabili solo altre casette immerse nel verde (non vorrete mica i casermoni minacciosi, eh?) abitate da famiglie simili perché così c’è armonia. Un bel po’ discoste le altre attività e servizi, così non danno fastidio, e ci si lavora anche meglio per portare a casa il reddito giusto, che garantisce tutto quanto. La seconda è passata in pochi anni da orrenda espulsione sociale a variante postmoderna della riqualificazione urbana, meglio se per giovani rampanti, stilisti, analisti finanziari, che civilmente “gentrificano” i luoghi, liberandoli dalle miserabili presenze di prima, e giustamente occupando quartieri degradati, che coi loro soldi ripuliranno dalle croste.

Ecco qui il mondo ideale: la città centrale della moda e dei servizi qualificati, coi suoi grattacieli e le palazzine fighette con prezzi da capogiro (o appartamenti da venti metri quadri che costano in assoluto come l’equivalente di duecento), e per gli stessi soggetti una volta accoppiati come Dio comanda la villetta suburbana immersa nel verde, e magari il nuovo posto di lavoro nel parco uffici sullo svincolo autostradale. E vogliamo mettere in crisi questo idillio per quelle stronzate ideologiche degli ambientalisti? Lo accetteremo pure qualche prezzo da pagare al progresso, no?

Sottile e penetrante, l’ideologia della conservazione, diciamo pure della reazione, permea oggi anche l’innovazione tecnologica, in modo non dissimile a quanto accaduto a suo tempo con gli elettrodomestici: la casalinga lavora meno, ma come ci insegnano decenni di pubblicità deve per contratto restare chiusa in casa a smanettare su lavatrici, lavastoviglie, aspirapolvere. Liberazione dal lavoro manuale forse si, dal ruolo sociale prefissato mai. Anche qui forse lo diceva la Bibbia da qualche parte. Ma torniamo a noi, per scoprire che c’è una nuova ideologia smart tech subito metabolizzata, almeno in potenza, dai soliti pensatori dello status quo. Sulla città tecnologica se ne sono dette ormai di tutti i colori, e dovrebbe ormai essere abbastanza chiaro che ne esistono due versioni distinte: quella progressista e quella stupidotto-elettrotecnica, quella che coglie il cambiamento di paradigma, e quella che usa male strumenti nuovi per fare male cose vecchissime. L’esempio più ovvio riguarda i trasporti: ragionare in termini di smart city significa andare alle radici del concetto di mobilità urbana, di organizzazione urbana legato alle relazioni fra spazi flussi attività. In una interpretazione riduttiva significa invece vendere marchingegni di solito costosi e intricati per fare cose semplici e isolate, tipo parcheggiare nei soliti parcheggi, o trovare un comunissimo prodotto nei soliti negozi eccetera. Ma c’è pure di peggio: adesso spunta la smart land.

L’idea di città tecnologica se non altro originariamente si sviluppa dentro ambienti densi, ricchi al tempo stesso di relazioni e potenzialità per evolversi a un modello sostenibile: poco uso dello spazio, meno uso dell’energia, efficienza nelle relazioni, concentrazione di conoscenze eccetera. Sono ormai chiare anche e soprattutto nei contesti economicamente più avanzati, le tendenze delle nuove generazioni a rifiutare il modello della frontiera suburbana, della casa unifamiliare, dell’auto in proprietà, dei consumi materiali individuali opulenti e ad elevato impatto, per aderire in buona sostanza al tipo di smart city che mescola il tradizionale (la città concentrata) alla rete tecnologica, ai nuovi comportamenti e bisogni. Il panico serpeggia tra le file dei profeti della suburbanizzazione, i quali ancora non hanno finito di dispiegare la propria strategia di lungo corso a colpi di cemento, asfalto, petrolio, automobili, cappe di inquinamento evidentemente irrisolvibili con l’uso scemo delle tecnologie, prima fra tutte l’auto elettrica senza cambiare null’altro. Ed ecco appunto spuntare dalle ceneri calde della Città Infinita la nuova trovata della Smart Land.

Che è, né più né meno, la versione italica del new suburbanism d’oltreoceano in variante tecnologica: innestare reti sull’insediamento diffuso per rafforzarne ulteriormente la struttura, sinora sostenuta dagli investimenti autostradali e dai relativi modelli dispersi. Non vorrete mica rinunciare al vostro stile di vita, così come lo conoscete da generazioni? Non dovrete farlo, voi famiglie, imprenditori, politici, perché è qui, solo qui, che starete per sempre, voi e i vostri investimenti, continuando a colmare ogni angolino di quanto Dio ci ha dato per farne ciò che vogliamo. Provare a pensarci per credere: sui poetici flussi delle chiacchiere fintamente tecnologiche viaggia il solito cemento e asfalto e petrolio di sempre. Diffidate dei falsi o veri profeti, anche se sono ridicoli, anzi soprattutto se sono ridicoli.

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