Un Programma dell’Abbondanza è di destra o di sinistra?

Nota del traduttore: come del resto accade spesso, i testi proposti su queste pagine non necessariamente rispecchiano gli orientamenti generali di tipo culturale e politico. Nel caso specifico di questo vero e proprio Programma Generale di Derek Thompson, vale certamente la pena di sottolineare al lettore come la dichiarata volontà di attingere il meglio sia dalla destra liberista che dalla sinistra progressista e dei diritti poi si riveli a dir poco sbilanciata e portatrice di una idea di sinistra e destra davvero singolare. Non solo: il fatto che da questo articolo del 2022 discenda poi abbastanza direttamente il best-seller Abundance del 2025 accolto con insolito entusiasmo in tutto il mondo (specie da chi si colloca a destra guarda un po’) aumenta l’interesse critico per queste apparentemente abbastanza equilibrate proposte. Di cui ricordo in conclusione quella sulla Questione delle Abitazioni che pare presa direttamente dalla cultura neoliberale e antiurbanistica, con una opposizione all’idea stessa di regole, scambiate tranquillamente per un «favore ai nimbies» nel linguaggio delle Fondazioni ultraconservatrici di area Repubblicana. Un rifiuto dell’urbanistica come idea di città condivisa che ha preso recentemente piede anche in Italia e di cui è spia il dibattito sulle riforme innescato dal caso di Milano, in pieno corso (f.b.)

Derek Thompson, Un Programma dell’Abbondanza è di destra o di sinistra?

Nella settimana di vacanza, ho passato un gelido pomeriggio in fila fuori da una biblioteca pubblica per sottopormi a un sommario test COVID. Qualunque fila per beni o servizi essenziali è un segnale di politiche pubbliche che non funzionano. Quando manca il cibo si formano le code per il pane. Se manca il carburante quelle per la benzina. Ma lì stavo, a due anni dall’inizio della pandemia, a tremare dal freddo dentro la deprimente metafora del fallimento dello stato.Mentre saltellavo da un piede all’altro per tenermi caldo, mi domandavo: come diavolo è potuto succedere tutto questo?

La penuria di test del contagio era una scelta politica americana, miserabile e miserabilmente gestita. L’Autorità sanitaria federale non ha fatto altro che rallentare l’approvazione delle forme più rapide di controllo. L’amministrazione Trump era evidentemente disinteressata a qualunque politica sul COVID a parte i vaccini. L’amministrazione Biden e i Democratici poi non hanno promosso in massa i testi rapidi finché Omicron non era già dilagata in tutto il paese. Altre nazioni, come Regno Unito e Canada, hanno approvato più sistemi e promosso produttori e reti di distribuzione nazionali, mettendo a disposizione dei cittadini milioni di controlli l’anno scorso. In America manca l’abbondanza di Gran Bretagna e Canada perché invece di scegliere l’abbondanza noi abbiamo scelto la scarsità.

Allontaniamo un po’ lo sguardo e notiamo come si possa connotare come scarsità tutta la vicenda della risposta alla pandemia. A inizio 2020, veniva detto agli americani di non indossare mascherine, dato che pare non ce ne fossero a sufficienza. L’anno scorso, ci dicevano di non fare il richiamo del vaccino perché non ce ne erano abbastanza. Oggi, ci preoccupiamo perché se troppe persone usano il test COVID potremmo superare i 700.000 al giorno, e non ce ne sono abbastanza. Allontaniamo la prospettiva ancora un po’ e noteremo quanto questa scarsità di tutto caratterizza la storia dell’economia USA. Dopo anni di mancati investimenti in tecnologie portuali c’è la crisi degli spostamenti merci. Dopo anni di politiche deliberatamente tese al contenimento dei visti di immigrazione ci si rende conto all’improvviso di non riuscire a trovare lavoratori per far funzionare le scuole, le fabbriche, ristoranti, alberghi. Dopo decenni in cui la produzione di semiconduttori migrava verso l’Asia, scopriamo scarsità di chip, e incremento dei prezzi per ciò che da essi dipende, auto o elettronica di consumo.

Man mano si va verso il generale si mette a fuoco meglio il quadro complessivo. La scarsità del prodotti non riguarda solo i test del COVID, né la pandemia, e neppure solo l’economia: è la vera immagine dell’America oggi. La rivoluzione delle tecnologie della comunicazione rende più facile che mai anche al cittadino comune vedere i grandi problemi del mondo e denunciarli. Ma nella nostra epoca di facilità tecnologica della protesta i progressi che ne conseguono paiono spaventosamente rallentati. Vista nel suo insieme, l’America si sfoga ma affoga per mancanza di adeguate innovazioni. Proclamiamo a gran voce di voler salvare il pianeta dal cambiamento climatico ma in pratica gran parte degli americani stanno decisamente contro una rivoluzione verso le energie pulite, quando certi Stati liberal chiudono gli impianti nucleari che non producono emissioni e si oppongono anche ai grandi progetti di pannelli solari. Proclamiamo a gran voce che la casa è un diritto umano quando nelle nostre città più ricche si proibisce minuziosamente di costruire nuove case, nuove infrastrutture, nuovi megaprogetti. La politica proclama a gran voce di voler una migliore assistenza sanitaria e poi si tollera la catastrofica lentezza dell’Ente federale preposto che non concede strumenti, o le politiche federali che impediscono di avere medici a sufficienza.

Negli ultimi mesi, sono ossessionato dal problema di risolvere in qualche modo la nostra questione nazionale della scarsità. Elaborando un programma che attinga il meglio da svariate ideologie. A partire dall’interesse della sinistra per il benessere umano, ma stimolando il movimento progressista «a considerare l’innovazione altrettanto seriamente dell’abbordabilità» come ha scritto Ezra Klein. Attinge all’ossessione dei libertari contro la regolamentazione, individuando situazioni in cui pessime regole si frappongono al bene comune. Convoglia il chiodo fisso sui diritti e insieme la grandezza nazionale verso le cose che davvero rendono una nazione più grande: spazi sicuri e puliti, servizi pubblici eccellenti, magnifiche condizioni abitative, benessere diffuso e condiviso. Ecco un programma di abbondanza. E partiamo dalla diagnosi del problema scarsità. Il grafico che segue è sui prezzi nel XXI secolo, quali prodotti sono diventati più economici, televisioni o computer, mentre altri servizi essenziali, salute o istruzione, diventavano più costosi.

Un progressista tipo qui potrebbe commentare: «Il governo non investe a sufficienza per aiutare le persone: spendiamo di più!». Mentre il tipico conservatore pensa: «Il governo spende troppo gonfiando i costi dei servizi, bisogna tagliare tasse e spesa!». Personalmente preferirei concentrarmi su quello che è probabilmente il vero problema: l’incapacità nazionale di mettere a disposizione beni e servizi essenziali.

Salute: Negli USA ci sono meno medici pro capite che in qualunque altro paese sviluppato, anche perché la nostra organizzazione di sistema ha ridotto l’offerta obbligandoli a difficilissimi e scoraggianti percorsi di qualificazione. E l’American Medical Association, principale ente rappresentativo professionale, per decenni ha impedito che i paramedici erogassero alcune cure, e anche la pratica di dottori laureati all’estero. Quindi l’America molto diligentemente ha creato una scarsità medica, riuscendoci benissimo.

Casa: Le case sono diventate notoriamente un bene inaccessibile in tante grandi città. Dal 1980, i prezzi medi nell’area metropolitana di New York sono cresciuti del 700%; a San Francisco di più. Redistribuire o tagliare tasse da soli non cambiano di molto la questione. La colpa è in gran parte della regolamentazione, che impedisce di costruire edifici più alti con più alloggi.

Istruzione superiore: I college di élite sono l’esempio più lampante di bocciatura all’esame di abbondanza. Non aumentano la quantità di ammissioni; la loro quota di iscritti sul totale si restringe; tra agli ammessi calano gli studenti a basso reddito che potrebbero trarre più vantaggio dal frequentare un college di élite.

Mancano due aree tematiche nel grafico dei prezzi, che vorrei ricomprendere nel mio elenco, trasporti ed energia.

Trasporti: Realizzare grandi progetti infrastrutturali in tempo e rispettando il bilancio è diventato quasi impossibile, anche in quegli stati progressisti dove ci sono progetti come l’alta velocità ferroviaria che hanno suscitato progressisti entusiasmi. E anche questa pare una precisa scelta politica. Sin dagli anni ’70, nuove leggi e regolamentazioni hanno ostacolato i grandi progetti di costruzione quasi ovunque. Alcune di queste leggi, come il National Environmental Policy Act, sono state approvate con le migliori intenzioni. Ma le infinite e dispendiose analisi di impatto e revisioni ambientali hanno via via insabbiato fino a bloccare le realizzazioni infrastrutturali. Dal 1900 al 1904, New York City ha costruito e attivato 28 stazioni della sotterranea. Cento anni dopo, nella stessa città ci sono voluti 17 anni per costruire e attivare solo tre nuove stazione lungo la Seconda Avenue.

Energia e cambiamento climatico: Le tecnologie per l’energia pulita hanno fatto enormi balzi in avanti nello scorso decennio, ma non le stiamo sfruttando con la prontezza necessaria. Solare, eolico, geotermico, tutto viene ostacolato da regole che favoriscono il settore dei combustibili fossili, grazie all’atteggiamento anti-crescita di tanti americani che non vogliono cambiamenti nel proprio territorio, e da assai discutibili analisi costi-benefici degli ambientalisti (per fare un esempio: la proposta del più grande impianto solare è andata a sbattere contro i possibili effetti negativi rilevati dagli ambientalisti sulla popolazione di tartarughe del deserto del Nevada). Ed è una catastrofica vergogna che le esagerate preoccupazioni sugli effetti delle radiazioni abbiano favorito leggi di regolamentazione del settore tali da rendere difficilissima la realizzazione di nuovi impianti. L’energia nucleare è del 99,6% più ecologica di quella da petrolio per unità di energia creata, e del 99,7% più sicura in perdite umane. Ma in questo secolo gli USA hanno chiuso più impianti nucleari di quanti non ne abbiano aperti.

Ma ricominciamo dalla crisi del momento ovvero la pandemia. Per oltre un anno esponenti del Partito Democratico ci hanno scongiurati di prenderla sul serio indossando mascherine, cancellando progetti, accettando ogni genere di restrizioni all’esistenza normale. Ma potremmo girare adesso la domanda ai nostri leader: perché una amministrazione che i Democratici controllano non la prende lei sul serio la pandemia, sviluppando un programma che ci porti a vincere le prossime sfide grazie ad una abbondanza dell’offerta? Il governo federale non ha ancora approvato tutte le misure preventive per accelerare la predisposizione di vaccini adeguati alle possibili varianti o al prossimo virus, entrambe probabilità a quanto pare inevitabili. Gli USA hanno bisogno di un programma dei 100 giorni e di un supergruppo di cacciatori del virus che sappia monitorare la situazione mondiale dotato di Acceleratore Decisionale Operativo per realizzare strutture produttive di vaccini ovunque. Non c’è nulla che ci vieta di farlo salvo la nostra noncuranza.

Nell’assistenza sanitaria potremmo approvare leggi per aumentare la quantità di medici. Finanziando programmi federali di accesso alla professione e facilitando la pratica di laureati all’estero. La telemedicina si è sorprendentemente rivelata uno strumento prezioso durante la pandemia, e anche qui si tratta di eliminare ostacoli di eccessiva regolamentazione. Per la questione della casa, tante città e stati dovrebbero seguire l’esempio della California, di vietare lo zoning esclusivo da casette unifamiliari, o quello di Houston che lo zoning non ce l’ha proprio del tutto. Aumentare l’offerta dell’istruzione superiore di alta qualità è più difficile, perché è fondamentale una formazione personalizzata e attenta per essere efficace. Ma possiamo favorire gli esperimenti con l’istruzione digitale, la diminuzione delle rette dei college, ridurre i costi dell’elefantiaca burocrazia amministrativa.

Per quanto riguarda le energie pulite, gli USA devono ripensare l’innovazione ad ogni livello. Dovremmo favorire fortemente l’immigrazione di persone istruite, come quei geni nati all’estero che fondano tante imprese americane di successo – formati in energie rinnovabili o in software e tanto altro – e questa è forse la cosa più a costo zero di tutta l’economia. Più ricerca e sviluppo di progetti innovativi, come quelli dei riassorbimento di anidride carbonica; un uso meno casuale dell’energia solare; riforme normative che consentano più impianti solari ed eolici; un approccio razionale all’energia nucleare che favorisca la realizzazione di nuovi impianti. Alcuni pensano alle energie pulite come a un prossimo grande ambizioso balzo in avanti ma non lo è affatto. Negli ultimi dieci anni il costo dell’energia solare è diminuito del 90% mentre l’efficienza delle batterie al litio cresceva del 90%. Ciò di cui abbiamo bisogno è un programma che risolva problemi di assai più basso profilo, come le opposizioni NIMBY o del settore carburanti di origine fossile: per realizzare politiche energetiche green usando le tecnologie che abbiamo già sviluppato.

Un modo di costruire dal basso le alleanze necessarie a questi programmi è di convincere sempre più americani dei vantaggi della abbondanza energetica. E ciò richiede un ripensamento di fondo. Nel suo libro Electrify, l’imprenditore Saul Griffith scrive che negli USA siamo bloccati da un modo di pensare l’ambiente fermo agli anni ’70 della crisi energetica, quando la domanda di esistenze più efficienti portò a quegli slogan «Ridurre! Riuso! Riciclo!». Un atteggiamento che possiamo riassumere schematicamente: «Sacrificandoci molto potremmo avere un futuro forse meno terribile».

Però gli americani non sosterrebbero certo entusiasticamente la decarbonizzazione pensando che si tratti del percorso verso un’esistenza di dolore e privazione. Costruire una forte spinta per l’energia green richiede di convincere le persone che ancora possono permettersi tutte le automobili e le comode case, perché basta alimentarle diversamente e vivere un’esistenza migliore. Per vincere la battaglia politica verso un pianeta migliore dobbiamo concentrarci sull’abbondanza energetica. Il programma dell’abbondanza ha bisogno di un obiettivo: cosa dovremmo avere a disposizione di più? Una risposta che ho già dato suona: ci sono beni e servizi essenziali i cui tassi di produttività sono in calo. Ma è una risposta che forse suona un po’ stantia e troppo tecnica. Proviamone una più semplificata. Dobbiamo puntare ad abbondanza di comodità, abbondanza di energia, abbondanza di tempo.

Allargando l’accessibilità a servizi essenziali come la salute, possiamo ridurre i mali dell’America. Allargando il campo delle energie green — solare, eolico, geotermico, nucleare e altro —possiamo riuscire ad alimentare esistenze agiate, liberarci del senso di colpa per cui i nostri lussi soffocano il pianeta. Concentrandoci sulla produttività e la crescita, possiamo diventare un paese più ricco e in grado di condividere la propria prosperità anche con chi è meno fortunato, ridurre la povertà, consentirci di lavorare via via meno nei decenni come speravano un tempo gli economisti. Certo si tratta di una utopia sfrontata. Ma spostarsi come si diceva sopra dal disfare al fare, dalle schermaglie a somma zero a soluzioni positive per un’America più grande, non richiede soltanto l’ennesima lista della lavanderia di piccoli aggiustamenti, ma una riaffermazione di progresso e crescita. Il Programma dell’Abbondanza punta alla crescita, intesa non come un fine in sé, ma perché è il modo migliore per le cose a cui teniamo di più: più esistenze agiate, più possibilità di fare ciò che vogliamo, più tempo dedicato a ciò che amiamo.

da: The Atlantic, gennaio 2022; Titolo originale: A Simple Plan to Solve All of America’s Problems – Traduzione di Fabrizio Bottini; il collegamento logico diretto di questa premessa-anticipazione alla «Teoria dell’Abbondanza» è alla sua applicazione pratica nel considerare criticamente la Legge Californiana sulla Densificazione nelle Stazioni

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