Una sana naturale dimensione metropolitana

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Foto M. B. Style

C’è stato un momento storico preciso, negli anni ’20 del secolo scorso, in cui un grande industriale dell’automobile constatava a proprio vantaggio una serie di debolezze della città moderna di fronte al suo prodotto principale su quattro ruote, e indicava la soluzione a lui più conveniente: facciamone a meno, di quella città. Ne seguì quasi automaticamente uno scatenarsi di forze già da tempo latenti, che non aspettavano altro in forma di ultima spintarella, in pratica a negare legittimità a quell’invenzione millenaria dell’uomo, inventandosi di sana pianta i più fantasiosi e a loro modo affascinanti trabiccoli ideologici. Trabiccoli assai ciondolanti però, che non avevano certo la solidità del mezzo meccanico a cui si attaccavano e che abbastanza in fretta finirono per evaporare lasciando posto all’unico modello trionfante, ovvero la vecchia suburbanizzazione, che con l’auto cambiava certamente pelle, mantenendo però (come in fondo era piuttosto prevedibile non facendosi travolgere dalla retorica futurista-avanguardista).

La nuova comunità allargata

In un modo o nell’altro, la maggiore estensione a raggio delle possibilità di trasporto e comunicazione (perché ovviamente prima di internet è arrivato il banale oggi, ma allora rivoluzionario telefono), accoppiate ad altri effetti secondari come i consumi o la pubblicità locale, venivano a definire una città allargata, magari assai articolata nei suoi spazi e relazioni, comunque con una propria chiarissima identità, del tutto analoga a quella per così dire infantile della famiglia e del quartiere, o più matura ma tradizionale della città intra moenia. Una identità che viaggiava sulle solide gambe di rapporti economici particolari, come il territorio degli agenti immobiliari, o quello di certi servizi, o addirittura dei reati (si pensi che la prima circoscrizione metropolitana di Londra individuata come bacino unitario è proprio quella della Polizia). Questa fotografia già chiarissima all’epoca della prima motorizzazione tendenziale di massa a fine anni ’20, è immortalata dai volumi degli studi pre-New Deal coordinati dal sociologo di Chicago, Roderick McKenzie. Ma come ci avverte assai bene in contemporanea il giurista italiano Virgilio Testa, sarebbe sbagliato far seguire a questa constatazione in modo automatico strane e inadeguate idee di riforma istituzionale o degli enti locali, o della finanza, o delle relazioni pubblico-private. Ogni caso locale o nazionale vale per sé, dato la complessità dei rapporti economici, sociali, con la geografia dei luoghi e le entità esterne sono infinitamente più complessi di quelli della dimensione urbana.

Bilanci

Quello che è certo, è che questo allargamento va riconosciuto, non certo confuso con una generica disurbanizzazione, o cancellazione di spazi e relazioni urbane, e da qui la necessità di fissare alcune regole di metodo, ad esempio la rilevazione statistica sistematica come indicato dal metodo MSA (Metropolitan Statistica Area) introdotta e poi sviluppata per tutto il novecento, ma che assume davvero senso se appesantita da qualche gabbia istituzionale. All’intorno di questo perimetro, geografico e metodologico, pur entrambi assai elastici secondo il monito originario del Testa, possono svilupparsi tutte le forme di accordi volontari, riforme elettorali, equilibri pubblico-privati necessari. Ne va non solo dell’ovvia maggiore efficienza meccanica del sistema, o della cosiddetta competitività territoriale come tanto si sottolinea nei nostri tempi di contabilità coatta, ma addirittura della democrazia, della sostenibilità, o di cosucce apparentemente secondarie come una seria politica delle abitazioni economiche: se esiste un bacino di manodopera locale, altrettanto definito dalle solite variabili metropolitane riassunte all’inizio, il puro ragionamento origine-destinazione, casa-lavoro, dovrebbe farlo capire, che non ha senso pensare ad agenzie comunali il cui potere entra in conflitto a ogni tiro di sasso. Ma vallo a spiegare a certi localisti, o per altri versi ai contabili liberisti per cui esiste solo la solita fettina di mondo contenuta nel portafoglio di chi comanda.

Riferimenti:

Nancy Cook, When Cities and Suburbs Work Together, The Atlantic, 2 maggio 2015

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