Ambientalisti suburbani d’accatto

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Foto J. B. Hunter

Il suburbio fa male all’ambiente: vero o falso? Ovviamente vero se guardiamo le cose per quel che sono, cioè verificando concretamente comportamenti, impatti, stili di vita storicamente indotti dall’ambiente suburbano. Altrettanto ovviamente falso se restiamo concettualmente dalle parti dell’immaginario fantastico caro al pensiero conservatore, specie quello molto ideologico esplicitamente di destra, dove la Natura altro non è che materia prima da plasmare a piacere, e quindi cacciarci dentro le sacre istituzioni della famiglia della villetta e dell’auto privata non gli fa altro che bene. Poi che i consumi familiari, energetici, la privatizzazione del territorio abbiano impatti negativi, è problema a parte, da affrontare per quel che è, una sovrastruttura secondaria. In sostanza proprio su questo si basa lo scontro, sul considerare gli impatti ambientali suburbani un male assoluto oppure no. E adesso parrebbe che siamo all’alba di un nuovo trionfo ultraconservatore, una nuova fine della storia, una ridicolizzazione di anni e anni di riflessioni ecologiste. Perché parrebbe arrivato il momento magico in cui parlare di impatti ambientali devastanti del suburbio diventa falso e tendenzioso.

C’è una casetta amor, nascosta in mezzo ai fior

Come sappiamo, tutto comincia un secolo fa circa, quando l’accesso ai mezzi di trasporto diventa di massa, e poi letteralmente esplode con l’automobilismo familiare. Quello che era un sogno per pochissimi, il cosiddetto giardino delle delizie, smette di essere un privilegio e con qualche sacrificio abbastanza praticabile si fa alla portata di moltissime famiglie tipo. Perché restare in città, vicino al posto di lavoro, quando è possibile spostarsi comodamente anche di decine di chilometri, fin dove si può avere coi propri mezzi quanto in città sarebbe impraticabile, ovvero una casetta con verde privato, tante stanze, magari due bagni, uno spazio addirittura tutto dedicato agli hobbies e altro ancora? Emerge però poco dopo che tutto quello spazio, e tutti quegli spostamenti, hanno un costo non da poco, sia economico che ambientale: le stanze vanno illuminate e riscaldate, e nell’automobile bisogna mettere la benzina, tutte cose che pesano sia nel portafoglio che nella qualità dell’aria, dell’acqua, dell’abitare. Ed è proprio su questi aspetti chiave che si concentrano le prime e oggettive critiche al modello della vita suburbana, la quale vita però ha anche altri rovesci della medaglia, come la socialità segregata, una forte tendenza a privatizzare tutto, la ristrettezza di orizzonti culturali, il consumo come unico sbocco e realizzazione.

La villettopoli sostenibile

Ma, come nei peggiori incubi, a un certo punto quando credevamo di essere usciti dal peggio, si apre una nuova voragine: qualcuno ha scoperto il modo per smetterla di inquinare con lo spreco energetico suburbano. Una recentissima ricerca sul classico storico sprawl californiano ha individuato una crescente tendenza all’acquisto di veicoli elettrici a basso inquinamento e dotazione di pannelli solari, entrambi prodotti il cui prezzo cala rapidamente. Si tratta di un orientamento “verde” che se come pare tende a diventare massiccio potrebbe livellare il divario fra città densa e suburbio quanto a emissioni, che rappresenta oggi uno dei fattori principali del giudizio negativo verso lo sprawl. Tutto risolto dunque? Ma nemmeno un po’, verrebbe da dire, e non a caso si continuava a ripetere più sopra che il suburbio è una scelta sbagliata anche per motivi energetici e di emissioni. Esiste una ricchissima letteratura che almeno dalla metà del XX secolo, praticamente ogni giorno che passa trova difetti in quella che da sempre è una cattiva imitazione della città, travestita da caratteri superficiali della campagna. Certo, bella cosa che almeno gli scarichi delle auto e i lampioni del vialetto di ingresso contribuiscano un po’ meno a scatenare uragani micidiali, ma da lì a promuovere a modello il mondo di villette, cani da guardia, centri commerciali e casalinghe disperate, davvero ce ne passa. Ce ne passa tanto, anzi sempre troppo.

Riferimenti:

Magali A. Delmas, Matthew E. Kahn, Stephen Locke, Accidental environmentalists? Californain demand for Teslas and solar panels, National Bureau for Economic Research, rapporto dicembre 2014

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