Frank Lloyd Wright, Broadacre City: la forma della democrazia

Riconosciuto dallo American Institute of Architects come il maggior architetto americano di tutti i tempi, Frank Lloyd Wright (1867-1959) nell’arco dei suoi settant’anni di carriera ha progettato oltre un migliaio di edifici, di cui 400 realizzati e 12 inseriti dall’Architectural Record tra i cento più importanti del XX secolo. Sul versante urbanistico dedicherà invece molti anni al suo progetto di città ideale, Broadacre City, affinando continuamente il suo pensiero fondato sulla convinzione che essa potrà costituire la rappresentazione fisica dei va- lori fondativi della società americana, ovverosia libertà e democrazia. Concepita sin dal 1924, la proposta sarà divulgata solo diversi anni dopo, a sostegno di una visione che se concettualmente ha non poche affinità con quanto espresso allora negli Stati Uniti dalla Regional Planning Association e in Inghilterra da Ebenezer Howard – in particolare lo stesso rifiuto della grande città ed il desiderio del ritorno alla natura – nella pratica propone soluzioni molto differenti, portando l’idea della decentralizzazione ben oltre le piccole comunità delle garden cities e immaginando, attraverso una dispersione continua – pur pianificata – la creazione di un sobborgo infinito.

Dopo aver trascorso – tra il 1909 ed il 1922 – lunghi periodi in Europa, Wright si stabilisce a Los Angeles, città le cui forme e dinamiche di crescita certamente ne influenzeranno la visione sulle questioni dello sviluppo urbano. Nei soli anni Venti la sua popolazione è triplicata, raggiungendo 1,5 milioni di abitanti. Nel 1923, in un solo anno, sono stati rilasciati oltre 60mila permessi edilizi. Una crescita, come allora riportato sulla stampa locale, che vede sorgere nei giorni lavorativi una nuova abitazione ogni 26 minuti. La proprietà dell’automobile cresce altrettanto vertiginosamente: il tasso di possesso (un’auto ogni 2,9 persone) è il più elevato al mondo, così come senza pari è il costosissimo gigantesco sistema autostradale realizzato – e in continua espansione – per garantire questa crescita. Al contempo nascono nuove tipologie edilizie per adattarsi alle pratiche di vita quotidiana dettate da questa conformazione urbana, come i drive-in markets che consentono ai consumatori di parcheggiare l’auto davanti ai negozi e avere una persona a disposizione per caricare la spesa. Il risultato è che il processo di suburbanizzazione accelera continuamente e il centro della città, solo tra il 1923 ed il 1931, ha ridotto la sua crescita del 25%, mentre la congestione stradale inizia a trasferirsi nelle aree periurbane.

Un disordine insediativo che Wright stigmatizza e al quale contrappone, nel 1923, la propria alternativa visione di sviluppo, disegnando una grande lottizzazione suburbana ideale di quasi 200 ettari (il Doheny Ranch Development) che, pur mai realizzata, segna il suo ingresso nella sfera della pianificazione urbanistica. Un progetto a scala urbana con edifici, strade, elementi naturali e paesaggistici ordinatori di uno sviluppo continuo che, pur solo moderatamente compatto, si contrappone alla casualità delle dominanti pratiche di sprawl.

Wright inizia così in quegli anni a interrogarsi sul futuro della città e sui rischi di una sua dissoluzione e nel 1930, nel corso di una serie di lezioni alla Princeton University, comincia a divulgare ad un pubblico più vasto la propria idea di città, partendo dalla constatazione che talune dinamiche della modernità – come l’automobile e le telecomunicazioni (la radio, il telefono, il telegrafo) – stanno diventando sempre più i fattori chiave di un decentramento inarrestabile. Entrambe consentiranno una libertà di localizzazione senza precedenti, grazie a nuove opportunità di scelta individuale mai sperimentate prima. Una moltitudine di americani, non più vincolata a risiedere e lavorare nei congestionati centri delle città, migrerà verso l’aperta campagna. Senza una appropriata pianificazione questo processo di sprawl incontrollato avrà conseguenze devastanti.

Un pensiero più organicamente esplicitato nel 1932, nel suo The Disappearing City, in cui l’oramai sessantacinquenne architetto definisce lo sviluppo delle città come «un tumore maligno che minaccia il futuro dell’umanità», un concetto in seguito ripreso e affinato in altre due opere: When Democracy Builds, del 1945 e The Living City del 1958. Le persone, sosterrà, debbono avere maggiore spazio a disposizione per vivere più umanamente e più libertà per le loro necessità di movimento. Spazio e movimento divengono i fattori fondanti della sua proposta: disperdere le funzioni urbane nella campagna, in maniera accuratamente pianificata, connettendole tra loro attraverso un efficiente sistema stradale. Rifacendosi, per sostenere la fattibilità di questa visione, alle teorie economiche di Henry George e alla sua idea di imposta sui valori fondiari, immagina che il suolo rurale dell’intera nazione potrebbe essere redistribuito assegnando a ciascuna famiglia almeno un acro (poco più di 4mila metri quadrati) di terra. La sua idea sulla proprietà del suolo è resa esplicita in The Living City: «quando ogni uomo, donna, bambino potrà nascere mettendo i piedi sulla propria terra allora la democrazia sarà stata realizzata». Grazie alla diffusa proprietà terriera sarà possibile superare anche la nozione di affitto e con essa i suoi vincoli: le persone avranno maggiore libertà di scelta occupazionale e potranno assecondare le loro propensioni o abilità poiché il salario non dovrà più essere speso in affitti o in alimenti.

Wright allora non visualizza in alcun modo la proposta, che viene invece raccontata attraverso suggestive descrizioni nelle quali immagina grandi autostrade – sapientemente inserite nel paesaggio – che connettono stazioni di servizio in cui si offre una vasta gamma di beni, anticipando di una ventina d’anni il fenomeno degli shopping centers nord americani, e che divengono i punti di riferimento principali della residenza – grazie alla loro variegata offerta commerciale – nel contesto di una libera composizione degli elementi della città infinita entro la quale si susseguono le diverse unità: agricole, industriali, scolastiche, commerciali, per il divertimento e residenziali, con ciascuna abitazione che disporrà di un acro di terra in parte coltivabile per soddisfare i propri fabbisogni alimentari. Queste unità sarebbero così ben integrate fra loro che ogni cittadino potrà disporre di tutto ciò di cui ha bisogno per abitare, lavorare, divertirsi, entro un raggio di 250 chilometri dalla propria abitazione, un’area facilmente percorribile grazie all’automobile piuttosto che all’aeroplano.

Elaborazione grafica A. Galanti

Il sistema di strade che definisce la griglia entro la quale si distribuiscono le differenti funzioni, è gerarchizzato in base a tre diverse tipologie: la principale, di attraversamento, è rappresentata da arterie a scorrimento veloce a sei corsie con incroci sopraelevati; la rete di distribuzione è affidata a strade a due corsie ed incroci a raso; infine strade di dimensioni più ridotte e a fondo cieco si fanno carico di raggiungere le singole residenze. Nella libera composizione degli elementi, che fa di Broadacre una tra le mille possibili Broadacre, si possono ritrovare molti altri riferimenti ai moderni principi della pianificazione, come la collocazione baricentrica dei servizi scolastici rispetto alla residenza; la disposizione delle industrie lungo i tracciati ferroviari al fine di ottimizzare la movimentazione di materie prime e prodotti finiti; la relazione fra spazi verdi privati e pubblici; l’integrazione fra produzione e consumo dei prodotti agricoli; la fusione tra elementi artificiali e naturali. Tutte le funzioni sono ubicate in modo che non vi possano essere addensamenti attorno ad esse e se la residenza è dominata dalle tipologie monofamiliari – il tipo di edifici maggiormente associato alle architetture residenziali da lui progettate – le grandi torri, residenziali e non, disseminate qua e là non costituiscono una contraddizione: Wright di fatto non è contro lo sviluppo in verticale purché i grattacieli rimangano isolati nel verde, una soluzione che richiama, dilatandone le proporzioni, le proposte razionaliste di le Corbusier, ma che qui ha anche la funzione di costruire dei riferimenti visivi nel contesto della sterminata città. Questo insieme composito e integrato è Broadacre City, la città di domani.

Fra il 1934 e il 1935 Wright inizia a dare forma visibile alla sua proposta, grazie al sostegno finanziario di Edgar Kaufmann, imprenditore e filantropo – per il quale disegnerà la famosissima Fallingwater – attraverso la realizzazione di un grande modello capace di rappresentare fisicamente l’idea: un enorme plastico di 3,7 metri di lato che ad una scala di circa 1:900 illustra una decina di chilometri quadrati della futura città, una sezione di 1040 ettari che ospita circa 5mila persone (1400 abitazioni), disposta seguendo un layout ortogonale su una superficie piana entro la quale si disperdono omogeneamente i diversi edifici e le differenti funzioni, collegati dal sistema gerarchico unificante delle diverse strade, visto che il movimento avverrà prevalentemente utilizzando le auto. Infatti, non solo ogni famiglia disporrà di un acro ma sarà anche proprietaria di almeno un’automobile.

In Broadacre City non vi è un centro: la concentrazione è una reliquia urbana del passato. Le vecchie città, man mano che saranno abbandonate (di qui il titolo della prima opera) perderanno progressivamente la loro importanza. Wright non parla di loro distruzione ma ribadisce la libertà dei cittadini di vivere nel contesto che preferiranno e poiché le automobili e le telecomunicazioni renderanno la prossimità fra individui una condizione sempre meno necessaria, sempre meno persone continueranno a viverci. Non pianificare per questo inevitabile futuro avrebbe conseguenze drammatiche: una diffusa congestione del traffico dentro e fuori dalle città, un grande spreco di risorse naturali, la compromissione di vaste porzioni rurali.

Broadacre City, o Broadacres come Wright la chiama, riceve ampio riscontro nel 1935, nel corso di una esposizione del modello tridimensionale presso il Rockefeller Centre a New York. Una composizione che Robert Fishman definirà poi «spaccato di un’intera civiltà» e mentre la proposta assume una certa popolarità, grazie anche ad una serie di eventi nel corso dei quali il grande plastico viene presentato, le reazioni sono tuttavia piuttosto contrastanti. Lewis Mumford, che inizialmente ne loda i concetti ispiratori, in seguito prenderà le distanze da quella visione, analogamente a Meyer Schapiro, il noto storico dell’arte. In generale la vagamente confusa riforma economico-sociale implicita nel modello sarà bollata come radicalmente socialista. Ciò non impedisce a Wright di continuare ad affinare la sua proposta e nel 1945, in When Democracy Builds, prosegue il discorso avviato con The Disappearing City e ne illustra taluni concetti attraverso i disegni di Broadacres, sempre più riferimento per le sue teorie sulla costruzione di una società ideale che può essere concretamente rappresentata.

Come osservato da Fishman, nessuno meglio di lui è stato in grado di anticipare come lo sprawl avrebbe trasformato l’America, immaginando con sorprendente accuratezza molte delle sue caratteristiche. Già negli anni Trenta Wright prevede come il senso di comunità non sarà più funzione della prossimità bensì della enorme libertà di scelta che l’automobile e le telecomunicazioni consentiranno, un concetto ripreso in seguito da Melvin Webber e definito di community without propinquity. Analogamente, immagina lo sviluppo del telelavoro o comunque la crescita dell’occupazione in aree distanti dai tradizionali centri, così come prevede che le attività terziarie lasceranno le downtown per trasferirsi in contesti esterni (le edge cities ne sono oggi l’esempio più aderente), suggerendo alle grandi attività commerciali di iniziare a pensare da subito a organizzare delle catene suburbane in grado di affrontare il fenomeno della suburbanizzazione.

Se con Broadacres Wright accetta, e in certa misura incoraggia, il processo di decentramento, fermamente convinto che costituisca la rappresentazione fisica della democrazia attraverso la libertà di scelta degli individui, in realtà cerca tuttavia di riorganizzarne il funzionamento al fine di garantire che non si realizzi una disintegrazione sociale oltre che fisica della città tradizionale. Broadacres è, insomma, un modello di democrazia basato su libertà e individualità, laddove la democrazia è intesa come una condizione rappresentativa di un modo di vivere, ottenuta grazie alla costruzione di valori che regolano la convivenza civile e non come una forma precostituita di tale convivenza, mediata attraverso una organizzazione politico-amministrativa. Wright, come ricorderà in seguito, non desiderava vendere nulla: Broadacres sarebbe dovuta essere un semplice spunto di riflessione. Ma si traduce in occasione di fatto perduta: l’allora presidente Roosevelt non vedrà mai quel modello, così come nessun pubblico amministratore ne resterà sufficientemente sedotto, malgrado il sostegno di personalità come Einstein, Mies van der Rohe o Nelson Rockfeller. Analogamente, non avranno grande successo neppure le Usonian Houses, esemplificazioni progettuali della possibile riduzione dei costi di costruzione per realizzare la città.

Curioso che, pochi anni dopo la presentazione del modello di Broadacre City, Futurama – la grande installazione realizzata nel 1939 per l’Esposizione Universale di New York dall’acclamato designer Norman Bel Geddes per conto della General Motors – ne rappresenti la distorta prosecuzione: un grandioso plastico ammirato da oltre 9 milioni di estasiati visitatori raffigurante complesse reti autostradali che solcano ovunque il Paese connettendo tra loro le città di domani e i luoghi più remoti. Ma assai diversamente da quella ideale forma della democrazia perseguita da Wright, in quel caso la forma proposta poggerà su assai meno nobili presupposti, come farà suggerire Doctorow a uno dei personaggi del suo romanzo World’s Fair: «La General Motors ci sta dicendo cosa si aspetta da noi: dobbiamo costruirgli le autostrade in modo che ci possano vendere le loro automobili». Esattamente ciò che accadrà a partire dal 1956 quando gli automobilisti inizieranno a finanziare con le loro tasse il maggior programma di lavori pubblici della storia moderna: il Federal Highway System, 70mila km di autostrade che, osserverà Mumford, paradossalmente trasformeranno il suburbio, nato per evadere dalle città, in un ambiente altrettanto monotono, degradato e inefficiente, dal quale non sarà tuttavia più possibile fuggire poiché non vi saranno alternative a disposizione.

Così, rispetto alla visione di Wright lo sprawl si è affermato consolidando due fondamentali differenze. La prima fisica, poiché paradigmatico di una dispersione non pianificata; la seconda funzionale, poiché l’acro di terra non è certo stato destinato ad usi agricoli, sviluppando dunque in maniera distorta la forma senza la sottesa riorganizzazione sociale e privando il modello di una importante caratteristica di sostenibilità ambientale – ancorché difficilmente praticabile nei termini proposti – oggi riconosciutagli: l’idea dei cicli brevi intesa come accorciamento della filiera agricola produzione-consumo

Estratto da: A. Galanti, Città sostenibili – Cento anni di idee per un mondo migliore, Aracne Editrice, Roma 2018
Su questo sito dal medesimo libro anche: Insostenibilità della dispersione urbana  ; Il «Piano degli Ottagoni» di Ildefonso Cerdà per Barcelona  ; Copenhagen, il Piano delle Cinque Dita ; Fabrizio Bottini, Idee di Città Sostenibile

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